Oggi più che mai l’artista ha un dovere che, a ben vedere, è anche un potere: quello di porre l’attenzione su temi d’attualità, esprimere il suo punto di vista e far riflettere lo spettatore sulla condizione umana contemporanea. L’artista dunque non è più colui che fa arte intesa come creazione meramente estetica, ma ha anche e soprattutto un impegno sociale.
I 18 artisti selezionati quest’anno rispecchiano questa “descrizione”, aprendo il nostro sguardo e la nostra mente su diverse tematiche d’interesse collettivo.
In Flotte di sogni, Giulia Berra interpreta l’attualità delle migrazioni, barche alla deriva cariche di sogni e desideri. I materiali utilizzati, leggeri e delicati, invitano lo spettatore a una lettura ravvicinata, tattile e sono lo specchio della fragilità, delle speranze e delle visioni dei migranti che queste barche idealmente navigano.
In Ecce Homo Juri Ceccotti riflette sull’illusione della celebrità data dai social network, creando un cortocircuito tra la silhouette del profilo Facebook, rappresentato come un busto in marmo, materiale legato alla ritrattistica scultorea del passato, e il presente della “falsa” popolarità data da internet. Premonitrice in tal senso la celebre frase di Andy Warhol “In futuro tutti saranno famosi per 15 minuti” o la stessa citazione stravolta in tempi recenti da Bansky “In futuro tutti saranno anonimi per 15 minuti”. La celebrità data dai social network è dunque illusoria, manipolata e talmente impersonale da renderci in verità anonimi?
La precarietà contemporanea è il soggetto del lavoro di Giovanni Longo in cui fragili scheletri di animali simbolici e ancestrali, accuratamente costruiti con reperti lignei erosi dalla natura, sono la proiezione delle debolezze umane. La ricerca del materiale, che l’artista compie nel letto dei fiumi o in riva al mare, è parte integrante dell’opera: un camminare lento, un’ispirazione che talvolta nasce dall’incontro casuale con un pezzo in cui l’artista già intravede il lavoro finito.
Anche Gianni Colangelo lavora con objet trouvé ma, diversamente da Longo, recuperati dal mondo artificiale, come metallo riciclato e componenti elettro-meccaniche, per assemblare creature mostruose o fantastiche, teschi modellati che
vengono affiancati a veri crani ossei nel tentativo di imitare la perfezione della natura e per rappresentare l’eterno dualismo naturale-artificiale.
Klodian Deda sottende una ricerca sulle antiche tradizioni di esporre sul balcone le lenzuola utilizzate dai novelli sposi nella loro prima notte di nozze. Mettendo in bella vista le tracce di sangue infatti, si dimostrava che la sposa aveva perso la verginità. Questo, come tanti altri riti legati alla verginità la cui traccia-macchia rimane testimonianza dell’azione, è al centro del lavoro dell’artista.
Indaga l’essere umano nella società Federico Scarchilli nella foto intitolata 15 minuti, dominata dal silenzio e dall’immobilità. In un mondo governato dalla velocità e dal consumismo sfrenato, Scarchilli suggerisce di fermarsi, riflettere su noi stessi e tentare di ritrovare l’essenza interiore. Una luce radente indirizza il nostro sguardo per suggerirci una storia che ognuno di noi può inventare.
Essere artista significa anche possedere un’eccellente capacità progettuale e tecnica: Tania Brassesco e Lazlo Passi Norberto creano affascinanti fotografie al confine tra reale e irreale in cui la scena è meticolosamente costruita in ogni sua
parte in studio. L’immagine cattura magneticamente il nostro sguardo per la poesia e l’eleganza che traspira, un sogno ad occhi aperti o la scena di un film del quale ognuno di noi può farsi regista. L’indagine dell’animo umano è il soggetto del
lavoro dei due fotografi. La figura è sempre al centro dell’opera: la sua posa e il suo sguardo sono fortemente espressivi e suggeriscono un atteggiamento malinconico e profondamente introspettivo.
L’opera di Sergio Piyadi necessita di un visione ravvicinata per scoprire, dopo averla di primo acchito scambiata per una foto in bianco nero, di trovarsi di fronte a un disegno a matita al limite dell’iperrealismo, su cui l’artista gioca inserendo messaggi ironici su post-it, rigorosamente disegnati, autocelebrando se stesso.
Pamela Breda svolge un meticoloso lavoro su filmati d’epoca che, tagliati e rimontati in scala cromatica, creano un video che è un’analisi sulla natura, sul rapporto fra l’uomo e l’ambiente, ma allo stesso tempo pura poesia della sguardo, inchiodato allo schermo per la bellezza delle immagini, dei colori e delle sfumature che si susseguono.
Veronica Cestari accosta elementi lontani tra loro e li cuce insieme per creare nuove relazioni, narrazioni, situazioni inaspettate e interpretabili. L’aspetto visivo è rinforzato da quello tattile, grazie all’uso di scotch, cuciture, ritagli e foto trovate
che ne potenziano e amplificano il significato.
Ricamo e cuciture sono soggetto preponderante del lavoro recente di Aurélie Fontan che, con un gesto ripetitivo e ossessivo, crea geometrie in cui l’intrecciarsi del filo bianco e nero sono una richiesta all’osservatore di fermarsi e guardare l’opera da più punti di vista, come una sorta di figura a doppio riflesso, che si modifica con lo spostarsi dello sguardo.
Anche Giulia Fumagalli lavora sui fenomeni ottici, ma con un approccio concettuale e di ricerca nel campo del cromatismo. Oltre ad essere un’esperienza visiva, l’opera abita lo spazio nella sua essenzialità minimalista.
Persino Daniele Lasalandra, in un certo qual modo, gioca con i fenomeni ottici, illudendo e coinvolgendo ignari passanti con i suoi dipinti trompe d’oil che l’artista chiama paintings installation posizionati in luoghi pubblici. L’opera quindi non è l’oggetto in sé, ma l’oggetto sommato alle reazioni della gente e dunque più vicino alla performance che all’installazione.
Anche Paolo Brambilla crea un’illusione: quella del movimento che si irradia verso diverse forze direzionali catturate nel momento di massimo equilibrio. Attraverso materiali statici infatti, l’artista riesce ad ingannare l’occhio dello spettatore imprigionando lo sguardo in un vortice immaginario.
Nelle sue Reificazioni, Dario Maglionico fonde più sequenze temporali: i protagonisti sono rappresentati in diverse pose e movimenti, come fotogrammi sovrapposti e fusi in un’unica scena o, come l’artista li ha definiti, “tracce di vita”. Il suo lavoro è una riflessione sulla freneticità dei tempi odierni, in cui viviamo i luoghi in maniera fugace e compulsiva.
Gianluigi Masucci lavora con una gestualità e ritualità che ricorda quella dell’action painting o dell’informale, ma con un controllo e una padronanza del gesto, visibile nei video che lo mostrano all’opera, dipingendo segni monocromatici che evocano la visione di masse di persone partecipanti ad una rivoluzione.
Seppur agli antipodi per tecnica e poetica, il video stop motion di Matteo Pasin, può essere affiancato al lavoro di Masucci e a quello di Maglionico: il turbinio della folla, immagini non nitide, sovrapposte e veloci il cui sguardo d’insieme rende una sintesi della frenesia degli spazi urbani.
Infine, Valeria Talamonti modifica la percezione dello spazio con opere installative di volta in volta adattate al luogo dove vengono esposte, utilizzando un materiale le cui caratteristiche sono accuratamente selezionate per interpretare al meglio il soggetto dell’opera, come nel caso di Daimon, essere divino e quindi astratto e malleabile come le spirali di cordella di cotone con cui l’artista gli ha dato forma.
Le opere di questi 18 giovani autori sono così diverse per materiali, tecniche e poetiche, possono piacere o non piacere, ma certamente, se osservate con attenzione, svelano interessanti e talvolta sorprendenti punti di vista che danno il via ad una riflessione più profonda che ognuno di noi può intraprendere.
Francesca Testoni
Catalogo Como Contemporary Contest / 2015