Intervista di Francesca Greco / Calabria Good (2014).
La storia artistica del locrese Giovanni Longo è assai complessa ed in continua evoluzione, quasi antitetica a quello che è l’obiettivo principale della sua creatività: semplificare ciò che oggi si complica senza ragione. Un artista in movimento, dunque, senza timore, eclettico, che ama scolpire ma anche sperimentare disegno, fotografia e video.
Nel biennio 2009/2010 Giovanni è selezionato in diversi premi internazionali (Arte Mondadori, Arte Laguna, Combat) e vince il voto on-line nella sezione “installazione & scultura” al Premio Celeste per due anni consecutivi. Nel 2011 una sua opera viene esposta alla Tese di S. Cristoforo per il Padiglione Italia/Accademie alla 54° Biennale di Venezia. Un successo che arriva anche oltreoceano: il blog newyorkese “Daily Art Muse” gli dedica un post, prende parte al workshop “Eurasia Wings”, nel quartiere artistico M50 a Shanghai, e un noto gruppo di blogger di Pechino, che gestisce una pagina sul social network cinese “Weibo” (dal titolo Museo di Arte Contemporanea), segnala il suo lavoro. Le sue opere sono costantemente recensite dai più importanti web magazine internazionali di arte e design e su riviste del calibro di “Designboom” e “Casa Vogue Brasil”, l’americana “Make Magazine” e la cinese “Dipendenza Design”.
Attualmente una serie di sue sculture dal titolo “Uomini Compressi” sono esposte al Kunstenfestival Watou in Belgio, rassegna di arti visive di respiro internazionale che raccoglie oltre undicimila presenze.
Francesca Greco: Come inizia il tuo viaggio nell’arte e precisamente nella scultura?
Giovanni Longo: Senza annoiarti con la storia della mia vita ti dico subito che era l’unica strada disponibile, tutto il resto mi limitava. I limiti e le convinzioni sono le prime cose da abbattere per poter fare arte.
FG: Da diversi anni sperimenti molteplici linguaggi alla ricerca di soluzioni che possano descrivere al meglio la precarietà contemporanea. Quali sono state le tue influenze artistiche? In quali esponenti della storia dell’arte ti riconosci?
GL: Amo moltissimo la storia dell’arte, soprattutto quella contemporanea. Le influenze sono innumerevoli, ma cercherò di sintetizzare tutto in tre fattori che mi hanno particolarmente condizionato: le ricerche minimaliste degli anni ‘60, le esperienze sui materiali dell’Arte povera e l’approccio concettuale di molti artisti attivi negli anni ‘90.
FG: Come nascono le tue opere, come vedono la luce e come le definiresti?
GL: Opero una raccolta di materiale costante. Tutto ciò che ritengo interessante per la mia ricerca viene archiviato tramite disegni, appunti e fotografie. Ogni giorno è un incontro nuovo. Tutto questo materiale, in qualche modo, alla fine si combina. Qualcosa viene scartato, altro viene valorizzato, tutto cambia però destinazione. La mia ricerca è molto vicina a quello che facciamo tutti nella vita: esperienze.
FG: L’artista lavora prima di tutto in virtù di un’esigenza interiore, seguendo una propria necessità espressiva. Mentre crei, sei condizionato in qualche maniera dal pubblico che guarderà le tue opere?
GL: In realtà sì. Soprattutto nelle opere site-specific credo sia necessario individuare l’utente medio. Attenzione, non per proporgli ciò che cerca, ma per indicargli al meglio ciò che potrebbe trovare.
FG: Tra i tuoi lavori più accreditati si annovera Fragile Skeletons, una collezione di sculture in legno, gommapiuma e ferro raffiguranti lucertole o batraci, strani uccelli, serpi che si mordono la coda. Perché hai scelto di lavorare principalmente con il legno di recupero, di solito raccolto in spiaggia?
GL: Ciò che concettualmente custodisce il legno come materiale è davvero notevole. È naturale e sensibile alle condizioni esterne più di altri. Quello recuperato lungo le foci dei fiumi, e conseguentemente sulle spiagge, attraverso superfici, consistenza, curve ed escoriazioni racconta la sua storia. Seme, pianta, albero, crescita e decadimento. Nei Fragile Skeletons utilizzo tutto questo per creare un parallelo con delle strutture scheletriche che, solitamente, rappresentano animali esistenti in atteggiamenti particolari. Questi elementi assumono così tutte le caratteristiche del materiale di cui sono composti: strutture fragili, segnate dal tempo e dalla forte carica concettuale.
FG: Sei giovanissimo, appena ventottenne, eppure pluri-premiato e con un curriculum che si estende da Shanghai al Brasile. Esiste un filo conduttore lungo l’insieme delle tue creazioni?
GL: Probabilmente sì, ma non credo sia poi così importante. Cerco di perseguire degli obiettivi e il percorso per raggiungerli può variare. Inoltre non ritengo sia compito mio individuare un filo conduttore. Il mio ruolo è proporre una visione, poi ci sarà sempre chi riterrà opportuno, ma anche no, studiare e approfondire il mio lavoro per individuare contesti, quadri storici e quant’altro.
FG: La scultura, in generale, evoca l’eternità. Che rapporto hai con il tempo e con la sua capacità disgregatrice?
GL: Nel mio lavoro risulta evidente questo interesse. L’inesorabile scorrere del tempo condiziona pesantemente le nostre scelte. Sicuramente la scultura ha da sempre avuto un ruolo evocativo molto potente, basti pensare alla sua funzione nell’antichità. Ma per certi versi sono tutte le Arti a valicare molti confini del tempo. Pensare che un giorno si possa considerare necessario conservare una mia opera, come valida testimonianza di un determinato momento storico, mi dà grandi stimoli e responsabilità. Credo che conoscere il proprio ruolo all’interno della società possa essere un primo passo cruciale per cercare quel messaggio universale che l’Arte dovrebbe includere.
FG: Alcune tue opere in terracotta, dal titolo “Uomini Compressi”, sono state selezionate per il Kunstenfestival Watou in Belgio. Cosa rappresenta per te la posizione fetale che hai attribuito a questi uomini?
GL: Quelle opere sono state realizzate tra gli anni 2008 e 2010, e la posizione non è studiata. Ho solo un piccolo disegno su un bloc-notes dove in tre passaggi delineo quella posizione, forse perché mi era sembrata l’unica disponibile per inscrivere una figura umana all’interno di un parallelepipedo, conservandone la simmetria. Hanno quindi assunto quasi naturalmente quella forma, il che è ancor più affascinante e lascia spazio a diverse riflessioni.
FG: Nell’immaginario collettivo lo scultore è colui che da un masso di pietra è in grado di estrarne un corpo o un volto. Cosa fa uno scultore nel 2014?
GL: Bella domanda, da tempo ormai non è più così. Se andiamo oltre l’origine del termine e la tradizione, per scultura s’intende una serie di tecniche artigianali o industriali che vanno da assemblaggi, modellati, fusioni, colaggi, stampe fino ad arrivare ad alcuni tipi di installazioni. Durante tutto il Novecento, pertanto, con l’avvento di nuovi metodi e tecnologie, il concetto originario di scultura si è completamente stravolto. L’obiettivo è ottenere un elemento tridimensionale che lo scultore, oggi, progetta, talvolta realizza, altre volte delega.
Per quanto mi riguarda amo molto lavorare con i materiali, quindi preferisco intervenire in prima persona. Quando ciò non è possibile, per mancanza di tecnologie o conoscenze, mi faccio aiutare anche da altri professionisti per la realizzazione di determinati progetti. È importante capire che oggi, ma anche in passato, un artista non può porsi limiti realizzativi. Pensare di realizzare solo ciò che si conosce, ciò che fa parte della propria comfort zone, sarebbe come guidare la potente automobile della creazione con il freno a mano inserito.
FG: Umberto Saba diceva che “L’opera d’arte è da sempre una confessione”. Giovanni Longo cosa sente di dover confessare?
GL: Ho confessato spesso fragilità e paure, ma come aspetti straordinari e imprescindibili delle nostre esistenze.