Articolo di Jacopo Ranieri / Istituto Pantheon design & technology Roma (2014).

Giovanni Longo è il giovane artista visuale originario della Calabria, pluri-premiato e con un curriculum che si estende da Shanghai al Brasile, in grado di donare vita nuova alle vestigia di foreste preistoriche dimenticate.

Candida è la loro superficie priva d’epidermide, bianca come l’osso da cui trae la significativa forma. E venata di pesanti spaccature, il retaggio di una lunga permanenza in luoghi inospitali. Chissà quale catastrofe li avrà ridotti in questo stato! O che meteoritica dannazione. Lucertole o batraci, strani uccelli, serpi che si mordono la coda. Ciascuna bestia, o metafora di essa, nasce dalla sapiente unione di relitti lignei e altri materiali di recupero, assicurati a solide strutture in ferro e gommapiuma. Simili visioni, ispirate alle contraddizioni dei giorni moderni, dimostrano i chiari segni dei secoli trascorsi, perché sono cose rosicchiate dalle onde, profondamente erose e deperite. Ciò è alla base della loro suggestione: sotto la corteccia, ove strisciavano i coleotteri xilofagi, tra cui l’odiato tarlo, abbondano le intercapedini passanti verso il mondo delle idee. Alveoli di una bocca silenziosa, che comunque parla, grazie allo stato trasparente del suo insieme.
Non c’è il tema della fine silenziosa, a mio parere, in queste austere sculture. Ma dell’immanente lascito di chi è venuto prima, trasferito ai posteri ed immutabile verso il futuro. Nulla sparisce, tutto si trasforma. Questa brulicante metamorfosi della decomposizione, nel caso specifico del legno, costituirebbe la genesi di molte cose. Micro-organismi. Corpuscoli aleatori, possibili sorgenti d’energia. E carburanti fossili, delizia dell’odierna civiltà; mentre l’intervento della mano dell’artista, che ripesca i legni condannati alla disgregazione, ponendoli sul piedistallo di un’immagine rilevante, gli dona lo fortezza di resistere (virtualmente) in eterno. Come le manticore della tradizione medievale, le lucertole di quest’artista trascendono il comune quotidiano. Ma a differenza di esse, per lo meno nella loro forma atavica originale, queste dimostrano un senso profondo della verità scientifica. Ciascuna vertebra consumata, ogni tibia rovinata, trovano una reale corrispondenza nella controparte organica dell’animale. Sembra quasi che d’un tratto, sul volgere di un fantomatico minuto, forze sovrannaturali possano restituirgli il soffio della vita. Ricoprendolo di muscoli, tendini e un irsuto manto. Variopinto e variegato, come i fiori da cui traeva la remota origine, di un frutto, un tronco e la modifica del fluido fondamento. Per poi trasformarsi ancora, dopo l’attimo fatale in cui scaturisce il suo ruggito…
E i Fragile Skeletons di questa emblematica catena conduttrice, ad un’analisi più approfondita, non sono che l’inizio di una visione poetica dalle multiple sfaccettature. L’artista, nel corso della sua rapida carriera, ha esaminato da molte prospettive le tematiche del tempo, della sua misurazione matematica e dell’imprescindibile influenza delle contingenze casuali. Non gli sono estranee, inoltre, soluzioni di matrice informatica e digitale. Nella video-installazione del 2011 Zanzzzzzare, ad esempio, crea un’ambiente di proiezione in cui 3 insetti succhiasangue, in versione rigorosamente disegnata, proliferano in modo drastico fino alla cifra di 500, per poi sparire nuovamente d’un tratto, lasciando il passo alla venuta di un incipiente inverno. Il visitatore, coinvolto nel maelstrom dei ditteri alati, viene chiamato ad interagirvi per il tramite della sua ombra sul muro. L’intero meccanismo è controllabile tramite l’inserimento di parametri, quali la velocità e l’ampiezza del movimento, all’interno di un software Java realizzato ad hoc. L’esperienza psichica di essere sotto assedio, avvolti dall’aggressione famelica di tante creature impietose e incoscienti, trova ulteriore rafforzamento nell’effetto sonoro che riecheggia nel titolo dell’opera. L’insistente ronzio che presagisce malaria. Nell’opera ricompare, dunque, la stessa riconoscibile passione per le cose scientifiche inusitate e il volto occulto della natura.

Impossibile non citare, inoltre, alcune delle sue interessanti installazioni on-site, tra cui Elevatore mnemonico, un ascensore le cui pareti sono state ricoperte dei post-it di tutti coloro che l’hanno utilizzato, nel corso di un periodo di media estensione. In una sorta di flusso mnemonico collettivo, che parla del senso fondamentale di questa moderna realtà. O Migration, 25 chiodi piantati nel muro, di cui uno, sfuggente ai margini dell’inquadratura. Possibile che Internet, il mondo sincretistico per eccellenza, abbia eliminato del tutto il concetto di singolo individuo, scevro dei pregiudizi delle moltitudini? Di certo, non può essere del tutto così. Qualcuno, fra i nostri artisti, avrà mantenuto le sue prerogative maggiormente immanenti. L’esperienza illuminante citata nella biografia ufficiale di Giovanni Longo, del resto, ricorda quella tipica di un vero filosofo naturale. Nato nel comune di Locri nel 1985, da madre insegnante e padre scultore, si formò presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria. Dove, come per Newton colpito dalla sua mela, la sua opera pluriennale trasse origine dal puro caso: l’esigenza accademica e progettuale di realizzare un modello di scheletro per un esame di anatomia artistica. E fu così, percorrendo le rive di un fiume non meglio identificato, che egli ebbe a concepire l’idea titolare dei legni resuscitati. Usando quei rami, quei tronchi raggrinziti non per mancanza di soluzioni migliori, ma in funzione di una precisa scelta d’artista. E una visione che l’avrebbe portato, nel 2011, fino alla prestigiosa Biennale di Venezia & beyond…. Il resto è storia, come si dice, ovvero una vicenda internazionale che consiglierei di conoscere attraverso le sue stesse parole, presso l’esauriente sito ufficiale che si è realizzato da se. Ebbene si, anche questo fa parte del suo creare (come di quello di molti di noi, oramai).

Ma personalmente resto maggiormente colpito, in quest’epoca di Pokémon e Godzilla, Final Fantasy e Harry Potter, dalle sue immaginifiche bestie d’illusione. Che incorporano in se stesse, per un duplice filo conduttore, sia la precisione razionale di una collezione naturalistica, sia un soffio di stregoneria. Se pure il dodo si è estinto nella seconda metà del XVII secolo, questo non significa che debba sparire. Vivrà per sempre, nei nostri pensieri e nella memoria di chi può donargli una palingenesi come questa, tardiva, ma largamente meritata.

Fonte www.pantheonmultimedia.com